La performance sportiva è il risultato delle potenzialità di un atleta e della sua capacità di gestire le interferenze interne ed esterne. L’adolescenza è il momento giusto per mettere le basi a questa capacità.
“L’avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che troviamo dall’altra parte della rete”.
Timothy Gallwey
Sono le parole del pioniere dello sport coaching che ha coniato il termine “Inner game” , gioco interiore che ogni atleta si trova ad affrontare con la sua mente.
Per ottenere la massima performance è necessario avere coscienza della parte del nostro cervello che ci giudica quando sbagliamo e che impedisce all’altra parte del cervello che è concentrata sul fare agire liberamente.
Riuscire a comprendere questo meccanismo è alla base di un gesto atletico “pulito” e preciso.
I grandi campioni riescono ad isolarsi e concentrarsi prettamente sulla loro performance senza perdere concentrazione grazie ad un allenamento specifico.
Come possiamo aiutare gli adolescenti a comprendere questo meccanismo e averne il controllo?
Certamente lavorare con un cervello che da un punto di vista cognitivo è ancora in fase di formazione, amplifica le difficoltà ma bisogna lavorare in prospettiva futura, cioè senza aspettarsi i migliori risultati nell’immediato ma sapendo che arriveranno nel tempo.
Facciamo subito una distinzione tra interferenze interne ed esterne: quelle interne sono la nostra vocina che ci dice se abbiamo fatto bene, che ci giudica negli errori e ci impedisce di essere concentrati sul gesto atletico perché ci distrae in ragionamenti senza fine (hai sbagliato e ora sbaglierai di nuovo, non sei capace, oggi non gira…).
Paura di fallire, timore del giudizio, timidezza e scarsa autostima sono solo alcune delle aree di lavoro che permettono il miglioramento delle capacità di un atleta e della sua performance.
Negli adolescenti si dovrebbe lavorare su questi aspetti cercando di alimentare il concetto di potenzialità e autoefficacia.
Il giovane che allena le sue potenzialità è un atleta che ama quello che fa e non sente la fatica in quanto sta facendo qualcosa che gli piace e che lo gratifica.
Aumentare il senso di autoefficacia è fondamentale poiché nasce in lui l’idea di essere capace di fare una determinata cosa e sappiamo che l’autoefficacia è alla base di una buona autostima.
Impegnarlo troppo nel migliorare le cose che sa fare meno lo rende insicuro e dubbioso di riuscire.
L’attenzione va messa maggiormente nelle interferenze interne perché saranno quelle che un atleta maturo potrà gestire e controllare. Diverranno sotto il suo governo.
Le interferenze esterne invece sono tutte le situazioni che troviamo nell’ambiente, come il clima, il campo da gioco, le luci, il pallone, il pubblico, e via di questo passo.
In questo caso è importante far capire che non dipendono da noi (gara di ciclismo con la pioggia, neve poco compatta nello sci, luci diverse nel campo da calcio) e che non abbiamo il potere di cambiarle e vanno accettate per quello che sono.
Potremmo dire che, se non elaborate come fattori esterni, potrebbero diventare degli alibi che giustificano una cattiva performance.
Nell’adolescenza un primo passo che permetta di comprendere queste differenze è certamente un ottimo lavoro che potrà formare un atleta equilibrato e consapevole delle sue capacità.
Attraverso il divertimento e il dare spazio alle potenzialità (positive) dell’adolescente metteremo il primo seme per un atleta vincente nel senso corretto del termine.